di LUIGI CASO (Il Sole 24 Ore, 02/02/2024)
La presentazione, avvenuta nei giorni scorsi, dell’ennesima proposta di legge di riforma della Corte di conti, non deve sorprendere.
L’attenzione della politica per la magistratura che, controllando come si spende il pubblico denaro, inevitabilmente finisce con il controllare anche come si amministra la cosa pubblica, è più che comprensibile. Al tempo stesso, è innegabile che tale controllo favorisca l’innalzamento del tasso di democraticità dell’intero sistema perché consente ai cittadini di comprendere come vengono spesi i soldi delle tasse e costringe chi li ha sprecati a restituirli alla collettività. In tal senso, la riforma della magistratura contabile dovrebbe tendere a innalzare la soglia di trasparenza e accountability della Pa, in un’ottica di servizio nei confronti dei cittadini contribuenti.
Sarebbe, invece, un errore continuare ad assecondare la tentazione di irresponsabilità perseguita da una esigua parte dei funzionari pubblici. Peraltro, la tendenza, emersa in recenti disposizioni, di relegare la responsabilità entro i limiti del dolo – peraltro declinato penalisticamente – collide con lo standard del pubblico dipendente concepito dai Padri costituenti: questi sognavano un corpo scelto, caratterizzato da accesso meritocratico (art. 97 Cost.) e «regole di ingaggio» di natura anche etica, quali «disciplina ed onore» (art. 54 Cost.), il Legislatore degli ultimi anni, invece, sembra accontentarsi di funzionari che non delinquono!
Allo stesso modo, la proposta di ampliare a dismisura gli ambiti del controllo preventivo oppure di prevedere pareri su fattispecie concrete, anziché comportare – come viene esplicitamente ammesso – un alleggerimento dell’istituto della responsabilità, è destinata, in un caso, a paralizzare l’attività amministrativa e, nell’altro, a creare indebite forme di cogestione da parte della magistratura, in contrasto con i principi costituzionali di separazione dei poteri e di riserva di amministrazione.
Altre dovrebbero essere, invece, le priorità da perseguire.
In primo luogo, sarebbe opportuno procedere ad una razionalizzazione del sistema dei controlli, al fine sia di eliminarne le ridondanze e favorirne la sistematizzazione unitaria ed integrata, sia di prevedere una disciplina procedimentale omogenea che favorisca la partecipazione piena e consapevole delle amministrazioni controllate e il più ampio contraddittorio con tutti i soggetti interessati.
La funzione di controllo, così ridisegnata, dovrebbe divenire sinergica con quella giurisdizionale, in modo da rendere la responsabilità un’ipotesi residuale di mera “chiusura” del sistema dei controlli. La condanna per responsabilità erariale dovrebbe intervenire solo laddove i controlli non siano stati in grado di impedire l’evento dannoso. In tal senso, il recupero, nel concetto di danno erariale, della sua dimensione di concretezza patrimoniale, se non addirittura contabile, e l’attenzione all’aspetto gestionale delle scelte operate, non solo renderebbe più chiari gli ambiti della responsabilità ma la ancorerebbe a precise ipotesi di cattivo uso delle risorse pubbliche, attenuando quell’aura di imprevedibilità che talvolta viene enfatizzata per giustificare la c.d. «burocrazia difensiva».
Infine, la riforma potrebbe costituire l’occasione propizia per riflettere sull’attuale normativa che vede il dipendente pubblico soggetto a ben cinque diversi tipi di responsabilità (penale, civile, amministrativo-contabile, disciplinare e dirigenziale), la cui cognizione è sparpagliata tra ben tre distinti plessi giudiziari. Non può ignorarsi il calvario cui viene talvolta sottoposto il pubblico dipendente chiamato a rispondere più volte e dinanzi a distinte magistrature per un medesimo fatto. Probabilmente, riflettere sull’unificazione dei giudizi di responsabilità dei dipendenti pubblici e dei relativi regimi sostanziali, superando anche le incongruità oggi conseguenti al principio del c.d. doppio binario tra l’azione civile e quella contabile (la prima è azionabile su istanza dell’Amministrazione e può portare al risarcimento integrale dei danni mentre la seconda richiede la citazione da parte del Pubblico ministero contabile e prevede il risarcimento dei soli danni commessi quanto meno con colpa grave, nonché l’azionabilità degli istituti della compensatio lucrum cum damno e del potere riduttivo dell’addebito), appare oggi più che mai necessario ed urgente.
In collaborazione con Mimesi s.r.l.
* Articolo integrale pubblicato su Ilsole24ore del 02/02/2023
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