di Enrico De Mita
Il beneficio per l’abitazione principale non è escluso dalla residenza anagrafica del coniuge del contribuente in comune diverso da quello in cui è ubicata l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale da entrambi i coniugi. Una sola agevolazione per l’unica abitazione principale dell’unico nucleo familiare. Questo impongono la legge e i principi costituzionali.
Di recente è intervenuta nuovamente la Cassazione (17408/ 2021 e 20686/2021 di fine luglio) a superamento di letture restrittive che non trovano legittimazione neppure nella lettera dell’articolo 13, comma 2, Dl 201/2011 in materia di Imu e successivo articolo 1, legge 160/2019, comma 741.
La stessa lettera della norma precisa che, «nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile».
La Cassazione (17408/2021) completa la lettura statuendo che la nozione di abitazione principale postula l’unicità dell’immobile e richiede la stabile dimora del possessore e del suo nucleo familiare, sicché non possono coesistere due abitazioni principali riferite a ciascun coniuge sia nell’ambito dello stesso Comune o di Comuni diversi.
Non risulta espressamente disciplinato dalla norma richiamata il caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati in differenti Comuni, ad esempio per esigenze lavorative.
La Suprema corte supera ogni (invero inesistente) dubbio se bastasse la diversa residenza anagrafica in immobili siti in Comuni diversi, per escludere di godere delle agevolazioni per l’abitazione principale, anche ai fini Imu.
La domanda trova immediata risposta positiva alla luce della stessa norma richiamata la quale deve essere interpretata nell’unico senso che può salvarne la legittimità costituzionale. Uffici e giudici sono costantemente richiamati all’interpretazione adeguatrice, la quale rappresenta la preliminare verifica, in sede interpretativa, della tenuta costituzionale di una norma.
Lettera e ratio della norma hanno la finalità seguente: «impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte dei benefici per l’abitazione principale» (Cassazione, 17408/2021, punto 1.4.). L’abitazione familiare, come insieme di legami, rapporti, abitualità della dimora del nucleo familiare del contribuente, deve e può esistere
in un unico luogo.
Il contribuente infedele non può sfuggire alla tassazione del fisco fingendo di avere due abitazioni principali. Il caso classico con il quale i Comuni si confrontano quotidianamente è il seguente: una casa eventualmente intestata al primo coniuge; l’altra, al mare, in montagna, al lago, intestata al secondo coniuge; effettiva residenza del nucleo familiare solo nella prima abitazione.
Arrivare, d’altra parte, a negare che quello stesso contribuente, con il suo nucleo familiare, non abbia nessuna abitazione principale, semplicemente per una registrazione anagrafica distinta in Comuni diversi, traviserebbe la lettera e la ratio della norma e violerebbe i principi costituzionali, di uguaglianza e ragionevolezza (articolo 3 Costituzione), di capacità contributiva (articolo 53), anche in correlazione con l’articolo 47 della Costituzione in relazione alla tutela della proprietà dell’abitazione. La prova di aver diritto all’agevolazione incombe in capo al contribuente che dimostrerà che il proprio nucleo familiare, inteso come unità distinta e autonoma rispetto ai suoi singoli componenti, resta unico, così come unica rimane anche l’abitazione principale ad esso riferibile. Produrrà fatture sulle utenze domestiche, dichiarazioni di terzi, verbali di assemblee condominiali, qualsiasi mezzo idoneo. La lettura costituzionalmente necessitata delle norme porta a concludere, senza tema di smentita, salvo voler fuoriuscire dai principi , che è illegittima la lettura abrogante della norma agevolativa che voglia eliminare la nozione di “abitazione principale”, anche ai fini Imu per il caso di immobili in comuni distinti, sulla base della mera distinzione anagrafica e senza indagine sulla effettiva dimora abituale del contribuente e del suo nucleo familiare nell’unica abitazione principale esistente.
Tale indagine è doverosa, anche ex articolo 97 della Costituzione, da parte degli uffici, anzitutto comunali, che si occupano di Imu .
Come ben precisato dalla Suprema Corte (17408/2021), qui non si tratta di ricorrere né ad un’applicazione analogica né ad un’interpretazione estensiva, della previsione introdotta dall’articoo 4, comma 5, del Dl 16/2012, secondo cui le agevolazioni per l’abitazione principale in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, ma di applicare i principi generali in precedenza enunciati.
Infatti, se per motivi di lavoro esistono due residenze anagrafiche, magari in immobili distinti siti in distinti Comuni, dovrà accertarsi in quale immobile si realizzi l’abitazione ‘principale’ del nucleo familiare, riconoscendo l’esenzione solo allo stesso. Per ogni nucleo familiare, infatti, non può esservi che una sola abitazione principale.
In tale contesto autotutela, prima, e mediazione tributaria poi, appaiono le sedi elettive anti-contenzioso, anche per evitare agli uffici un’assai probabile condanna alle spese, rafforzata dall’articolo 96 del Codice di procedura civile, ove insistano in una lettura abrogante della norma e palesemente illegittima sul piano letterale, logico, teleologico e, in definitiva, costituzionale.
In collaborazione con Mimesi s.r.l.
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