Le innovazioni in tema di conclusione del procedimento amministrativo contenute nel testo del decreto “semplificazioni”

31 Gennaio 2012
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Premessa

Il recente testo licenziato dal Governo, contenente una serie di norme di semplificazione/sburocratizzazione, introduce modifiche anche alla legge 241/1990. A questa, limitando l’analisi in sede di prima lettura, viene dedicata la norma che introduce il testo del decreto ovvero l’art. 1 rubricato semplicemente “modifiche alla legge n. 241 del 1990 in materia di conclusione del procedimento e poteri sostitutivi. La norma incisa è l’art. 2 della legge sull’azione amministrativa, che detta diposizioni in tema di conclusione del procedimento amministrativo, del quale vengono sostituiti gli attuali commi 8 e 9 ed aggiunte una serie di appendici a quest’ultimo fino al comma 9 quinquies.

Sanzioni per il silenzio e per la mancata o tardiva emanazione del procedimento

I primi commi dell’art. 1 del testo del decreto in commento, modificano integralmente le (forse troppo) generiche disposizioni attualmente in vigore contenute nell’art. 2 della legge 241/1990 nei commi 8 e 9. Il primo, già inciso dal codice del processo amministrativo (d.lgs. 104/2010), attualmente si limita al rinvio secondo cui “la tutela in materia di silenzio dell’amministrazione è disciplinata dal codice del processo amministrativo”. A tale locuzione, nel predisponendo decreto, viene aggiunta un secondo periodo con la specificazione che “tutte le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio dell’amministrazione sono trasmesse in via telematica alla Corte dei conti”. Attraverso quindi lo spauracchio del danno erariale si cerca di innescare un meccanism o virtuoso del funzionario pubblico. Risulta ulteriormente aggravata anche l’attuale precisazione, contenuta nel comma 9 dell’art. 2 della legge 241/90 secondo cui “la mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale”. Il testo predisponendo “aggrava” la responsabilità del pubblico dipendente inadempiente, il cui comportamento non inciderà solo sulla valutazione ma anche sotto il profilo di una possibile “responsabilità disciplinare e contabile”.
La necessità di individuare un soggetto attributario di poteri sostitutivi in caso di inerzia della p.a.
Piuttosto rilevanti risultano le disposizioni previste a partire dal comma 9-bis. Le prescrizioni, come si vedrà, esprimono l’evidente preoccupazione del legislatore nei confronti dell’inerzia o dei ritardi della p.a. che, nonostante un variegato ed incisivo apparato normativo, risulta particolarmente refrattaria ad una conclusione tempestiva dei procedimenti amministrativi. Le norme, inoltre, tendono a definire le annose questioni sulla punibilità o meno della p.a. in presenza di ritardata conclusione della procedura. Il primo inciso (comma 9-bis) prevede che “il vertice politico dell’amministrazione individua, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia”. La previsione impone alcune considerazioni . In primo luogo merita attenzione l’attribuzione della competenza ad individuare la figura di riferimento al vertice politico. Non si può non evidenziare un mutamento di impostazione della disposizione rispetto a quelle del secolo scorso (ma anche più recenti) in cui ogni tipo di obbligo di fare qualcosa o anche solo semplicemente di decidere qualcosa veniva rimesso genericamente in capo alla pubblica amministrazione. A questa generica imputazione faceva seguito, nella maggior parte dei casi, un fisiologico (!) disinteresse dei vari attori che non si riconoscevano (!) in tale riferimento. La disposizione, quindi, risulta più chiara è porrà solo un logico problema operativo (quando entrerà in vigore) ovvero individuare chi dovrà riferire al vertice politico dell’esistenza d i questo obbligo. Presumibilmente ci penseranno i soggetti interessati alla conclusione del procedimento amministrativo. Si deve ritenere, inoltre, che sotto il profilo pratico/operativo, pur nel silenzio della norma, l’introducendo obbligo debba essere reso esplicito tanto nel sito della stazione appaltante quanto nella stessa documentazione da trasmettere agli interessati, proprio al fine di renderli edotti – in ossequio al principio della trasparenza e della correttezza – che, almeno come estrema ratio verrà individuato un soggetto che necessariamente di dovrà occupare della definizione del procedimento. In questo senso, probabilmente, la norma avrebbe avuto forse più efficacia se fosse stata “agganciata” direttamente all’obbligo di ogni p.a. di sezionare l’organizzazione in procedimenti amministrativi e di attribuirli ai responsabili individuati (adattando e completando l’art. 4 e ss.). Il prosieguo della norma in commento poi, con i commi 9-ter/9-quinquies, è diretto ad apprestare il classico (ormai) meccanismo per rendere ineludibili gli obblighi anzidetti. A tal riguardo il comma 9-ter puntualizza che “decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento o quello superiore” eventualmente necessario stabilito dal comma 7 dello stesso art. 2, “il privato può rivolgersi al dirigente individuato (…) perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomin a di un commissario”. Il legislatore “tecnico” quindi intende “penalizzare” la p.a. inerte o se si preferisce, intende tutelare il privato interessato, riducendo drasticamente i termini ulteriori o addirittura prevedendo l’intervento di un soggetto ad hoc che verrebbe nominato dal responsabile attributario dei poteri sostitutivi. Sarà interessante capire come potrà funzionare questa norma nelle realtà più piccole. È chiaro che il ricorso al commissario rischia di essere frequente soprattutto in relazione a quei procedimenti per i quali il dirigente/funzionario individuato come soggetto con poteri sostitutivi, risulti oggettivamente non competente. Non si può escludere che il “commissariamento”, debba essere inteso in senso atecnico e che possa in realtà riguardare un soggetto interno competente. Il dirigente/funzionario individuato ai sensi dell’art. 9-bis avrà l’ulteriore compito ricognitivo ed risulta tenuto, “entro il 30 gennaio di ogni anno” a , comunicare “all’organo politico i procedimenti, suddivisi per tipologia e strutture amministrative competenti, nei quali non è stato rispettato il termine di conclusione previsti dalla legge o dai regolamenti”. La norma è singolare perché invece di prevedere un intervento in fieri ovvero al momento dell’attivazione concreta dell’avocazione del procedimento, lo rimette ad una analisi successiva, quasi a futura memoria. L’ulteriore adempimento, pur corretto, che amplia a dismisura i compiti del soggetto che viene addirittura gravato della conclusione dei procedimenti altrui. Ulteriore chiosa di chiusura è quella contenuta nel comma 9-quinquies che impone di indicare nel provvedimento rilasciato (su istanza di parte) con ritardo il termine istituzionale previsto per la conclusione del procedimento e quello concretamente impiegato. Ciò al fine, evidentemente, di consentire al privato di attivare rimedi risarcitori.

Chiosa critica

La disposizione introducenda, sicuramente rilevante, rappresenta però la reiterazione di presupposti che in realtà sono già previsti nella 241/1990 e nella stessa pratica operativa. Non è superfluo rammentare che il meccanismo avocatorio/sostitutivo è una delle ovvie conseguenze del meccanismo predisposto dal legislatore nel prevedere la nomina del responsabile del procedimento. Come noto, l’art. 5 del legge 241/1990 prevede la possibilità che il dirigente o il funzionario attributario di prerogative dirigenziali possa assegnare a se o ad altri collaboratori la responsabilità del procedimento amministrativo. Nel momento in cui decide di assegnare il procedimento, si assume una chiara responsabilità in eligendo ma anche in vigilando, risultando esso stesso quindi già attributario del po tere/dovere di avocazione del procedimento incompiuto. La decisione del legislatore di individuare addirittura una ulteriore figura dimostra come sia complicato introdurre modelli organizzativi corretti all’interno della p.a. Ed in questi limiti la disposizione non può che essere valutata favorevolmente.

Stefano Usai

Fonte: La Gazzetta degli enti locali

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