Le mansioni di dirigente possono anche essere di tipo professionale e non di conduzione di una struttura

9 Luglio 2024
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La posizione dirigenziale se istituita formalmente attraverso un atto di macro organizzazione può rilevare al fine di verificare un eventuale svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente e, quindi, con diritto ad una giusta retribuzione. Con queste motivazioni la Cassazione (ordinanza n. 14293/2024) ha riconosciuto le mansioni superiori dirigenziali svolte da un avvocato dell’ente, non potendo l’ente addurre l’assenza di una struttura di riferimento ben potendo il dirigente svolgere anche funzioni di tipo professionale.

La vicenda

Un avvocato di una Azienda sanitaria ha chiesto al giudice del lavoro il pagamento delle differenze retributive per aver svolto funzioni dirigenziali mentre apparteneva al ruolo del personale non dirigenziale. A differenza del Tribunale di primo grado, la Corte di appello ha ritenuto che l’ente aveva previsto l’introduzione, con atto di macro organizzazione, all’interno dell’Area Affari Legali una struttura di due dirigenti avvocati e di un dirigente procuratore legale. A dire dei giudici di appello, la figura del dirigente avvocato costituisce un profilo tipicizzato nel quale la posizione dirigenziale non implica la responsabilità della struttura o un quid pluris rispetto allo svolgimento delle attività professionali. Pertanto, ai fini del riconoscimento dello svolgimento di mansioni dirigenziali è dirimente l’istituzione della posizione dirigenziale nella pianta organica, ha rilevato che ai sensi dell’art. 26 del d.lgs. n. 65/2001, la qualifica di dirigente può discendere anche dall’inserimento in ruoli di natura professionale, che nel caso di un dirigente avvocato coincidono con le attività tipiche che connotano tale professione.

L’Azienda sanitaria ha proposto, quindi, ricorso in Cassazione sostenendo che l’avvocato era stato assunto a seguito di concorso pubblico nella categoria dei funzionari e non nel ruolo dirigenziale, le cui funzioni coincidevano con la cura del contenzioso amministrativo con rappresentanza e difesa dell’Azienda, coadiuvata da altro funzionario e da altri dipendenti con la medesima qualifica funzionale. Inoltre, nessun provvedimento in senso ampliativo delle funzioni svolte è stato mai adottato dall’ente nel riconoscere le mansioni superiori alla dipendente.

Il rigetto del ricorso

Per la Cassazione il ricorso dell’Azienda è infondato. Infatti, il giudice di legittimità ha da tempo chiarito che il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni da riconoscere nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 della Costituzione, sicché il diritto va escluso solo qualora l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento.

Tali principi, pertanto, operano anche in relazione allo svolgimento di fatto di funzioni dirigenziali, a condizione che il dipendente dimostri di averle svolte con le caratteristiche richieste dalla legge, ovvero con l’attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di tali mansioni. In merito allo svolgimento di funzioni dirigenziali, il giudice di legittimità ha chiarito come sia necessario che l’ente abbia provveduto ad istituire la posizione dirigenziale, perché, sulla base delle previsioni del d.lgs. n. 165/2001, la valutazione sulla rilevanza degli uffici, sulle risorse umane e finanziarie da assegnare agli stessi e in genere sull’organizzazione è rimessa al potere discrezionale della P.A. che non può essere sindacato nel merito in sede giudiziale. Inoltre, è stato affermato che la posizione dirigenziale non implica necessariamente la responsabilità della struttura, perché la dirigenza sanitaria può essere solo di tipo professionale, e diviene anche gestionale qualora al dirigente siano conferite funzioni di direzione delle strutture semplici o complesse.

Precisato il quadro legislativo di riferimento, correttamente la sentenza della Corte di appello ha rilevato la sussistenza di un atto amministrativo presupposto che ha introdotto nella pianta organica una struttura di due dirigenti avvocati ed ha accertato in fatto lo svolgimento, da parte della ricorrente, di mansioni di dirigente avvocato.
Il ricorso dell’Azienda, pertanto, deve essere rigettato.

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