Le risorse provenienti da maggiori accertamenti relativi ad oneri di urbanizzazione appostate nei vincoli del rendiconto non rientrano fra i vincoli formalmente attribuiti dall’ente ma fra i vincoli previsti dalla legge: è quanto affermato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. per la Toscana, nella delib. n. 26/2024/PRSE, depositata lo scorso 30 aprile, stigmatizzando l’operato del Comune che, erroneamente, le aveva inserite nella prima tipologia richiamata.
Ed infatti, come è noto, l’art. 1, comma 460, della Legge n. 232/2016, ha previsto che “dal 1° gennaio 2018 i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono destinati esclusivamente e senza vincoli temporali alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni abusive, all’acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell’ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l’insediamento di attività di agricoltura nell’ambito urbano e a spese di progettazione per opere pubbliche. A decorrere dal 1° aprile 2020 le risorse non utilizzate ai sensi del primo periodo possono essere altresì utilizzate per promuovere la predisposizione di programmi diretti al completamento delle infrastrutture e delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria dei piani di zona esistenti, fermo restando l’obbligo dei comuni di porre in essere tutte le iniziative necessarie per ottenere l’adempimento, anche per equivalente, delle obbligazioni assunte nelle apposite convenzioni o atti d’obbligo da parte degli operatori”.
In ogni caso, secondo i giudici, la difformità della rappresentazione in discorso non ha inciso sulla determinazione – limitatamente alla quota de qua – della parte disponibile relativa all’esercizio, trattandosi di mera permutazione di componenti interne alla parte vincolata del risultato di amministrazione.
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