Con la delibera n. 411/PAR del 7 ottobre 2013, la Corte dei conti, sez. controllo per la Lombardia, esegue una ricognizione delle attuali regole in materia di società strumentali della PA, rilevando, innanzitutto, che la qualificazione di dette società si ricollega essenzialmente al tipo di attività da esse erogata, “rivolta agli stessi Enti promotori o comunque azionisti della società per svolgere le funzioni di supporto di tali Amministrazioni pubbliche, secondo l’ordinamento amministrativo”, per lo svolgimento delle funzioni pubbliche di cui restano titolari gli Enti serviti (cfr. Consiglio di Stato, Ad. plenaria n. 17 del 4 agosto 2011).
Si ricorda, a questo proposito, che la Consulta, con sentenza n. 229/2013, ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 4 del DL 95/2012, là dove l’obbligo di dismettere le società strumentali trova applicazione anche rispetto alle Regioni a statuto ordinario.
Con l’occasione, il giudice delle leggi osserva che le restrizioni volte a penalizzare l’attività delle società che svolgono attività strumentale per la PA sono « […] dirette ad evitare che soggetti dotati di privilegi svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche al fine di eliminare eventuali distorsioni della concorrenza (sentenza n. 326/2008). In altri termini, in tali previsioni restrittive si è ravvisata la finalità di assicurare che le società pubbliche, che svolgono servizi strumentali per le pubbliche amministrazioni, non approfittino del vantaggio che ad esse deriva dal particolare rapporto con le predette pubbliche amministrazioni operando sul mercato, al fine di evitare distorsioni della concorrenza, ma concentrino il proprio operato esclusivamente nell’“attività amministrativa svolta in forma privatistica” per le medesime amministrazioni pubbliche. E ciò in linea con la normativa dell’Unione europea, il cui primario obiettivo è quello di evitare che l’impresa pubblica goda di regimi privilegiati e di assicurare – ai fini dell’ammissibilità degli affidamenti diretti di servizi a società pubbliche – che l’ente affidante eserciti sull’affidatario un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e che l’affidatario realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente controllante (per tutte, sentenza Corte di giustizia, sez. V, 18 novembre 1999, n. C-107/98, Teckal c. Comune di Viano)».
Con riferimento all’ambito in questione, la Sezione lombarda afferma che sia l’art. 13 del DL 223/2006, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 (c.d. decreto Bersani), sia il successivo art. 3, commi 27 e seguenti della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e sia, infine, l’art. 4 del DL 95/2012, convertito in legge n. 135 del 7 agosto 2012 (c.d. spending review) precludono alla PA lo svolgimento di attività imprenditoriali, favorendo la sussidiarietà economica all’insegna di un sistema articolato di principi, le cui coordinate fondamentali si possono così riassumere:
a) l’Ente pubblico che non ha fini di lucro non può svolgere attività di impresa, salve espresse deroghe normative;
b) la possibilità di costituzione di società in mano pubblica, o è prevista espressamente dalla legge, oppure, ordinariamente, è prevista per il compimento di servizi di interesse generale (servizi pubblici economici e non);
c) lo svolgimento, in via ordinaria, di società strumentali non è più ammesso, se non nei casi di legge (ad esempio, società di committenza o servizi in cui il ricorso al mercato si dimostra non efficiente ai sensi del comma 3 dell’art. 4 del DL 95/2012).
Alla luce di questi principi, il collegio afferma che “non potrà pertanto procedersi ad affidamento, né con gara, né in via diretta, nei confronti di società che, pur non ricadenti nelle previsioni dell’art. 4, commi 1 e 3, violano il decreto Bersani (società multiutilies ad oggetto eterogeno, che hanno ad oggetto servizi strumentali e di interesse generale e/o che svolgono attività extramoenia) a cui si applicano, quindi, le limitazioni e le sanzioni di cui al commi 1 e 4, dell’art. 13 del DL 223/2006 (divieto di affidamento e nullità dei contratti)”.
Una siffatta interpretazione ha il pregio di coordinare, nel quadro normativo vigente, due fonti giuridiche apparentemente inconciliabili, l’una afferente le condizioni e requisiti per la costituzione delle società strumentali (art. 13 del DL 223/2006), l’altra relativa all’obbligo di dismissione delle società medesime (art. 4 del DL 95/2012).
La pronuncia si distingue, quindi, per l’ausilio che essa è in grado di fornire agli Enti in una congiuntura particolarmente delicata, ove il legislatore richiede loro la messa punto di importanti scelte strategiche, con riguardo all’organizzazione e la gestione dei servizi locali sul territorio.
di Michele Nico
Fonte: Leggioggi.it
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