L’ingiustificato arricchimento dell’ente non può essere stimato uguale alle tariffe professionali

4 Settembre 2023
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Il giudice non stabilisce l’ingiustificato arricchimento, per l’utilizzazione dell’opera di professionisti esterni, rinviando all’applicazione delle tariffe professionali debitamente validate dall’Ordine di riferimento. Con queste motivazioni la Cassazione (Ordinanza n. 23678/2023) ha accolto il ricorso di un ente locale che era stato condannato, sia dal Tribunale di primo grado sia dalla Corte di appello, al pagamento pari alle tariffe professionali applicate dall’Ordine di appartenenza dei professionisti.

Il fatto

A seguito dell’attività professionale svolta da alcuni professionisti, per la redazione del progetto di massima delle opere di urbanizzazione primaria del Piano Particolareggiato di recupero, non avendo ricevuto il pagamento i professionisti si sono rivolti al giudice civile chiedendone la liquidazione pari alla parcella presentata ed approvata dal Consiglio dell’Ordine degli ingegneri. Il decreto ingiuntivo è stato opposto dall’ente locale, ma il Tribunale di primo grado e successivamente la Corte di appello ha condannato l’ente locale al pagamento della somma richiesta dai professionisti a titolo di corrispettivo pari al valore contenuto nella parcella professionale.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso in Cassazione indicando l’errore dei giudici di appello nonostante la mancanza di prova in ordine all’arricchimento da parte del Comune ed al depauperamento da parte dei professionisti, basandosi sulla tariffa professionale e sulla parcella vistata dall’ordine.

L’accoglimento del ricorso

Per i giudici di Piazza Cavour il ricorso dell’ente locale è stato considerato fondato, premettendo come non vi siano dubbi sul fatto che il soggetto legittimato passivo dell’azione di ingiustificato arricchimento è senza dubbio quello che usufruisce dell’utilità dell’opera. In questo caso, “Il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto” (Cass. SS.UU. sentenza n.10798/2015). Nel caso di specie, pertanto, i giudici di appello hanno accertato che risulta fornita la prova dell’opera e dell’arricchimento, posto che l’elaborato era stato consegnato e l’incarico svolto al momento della revoca della delibera di incarico. Sempre la Cassazione ha avuto modo di precisare che “In tema di azione di indebito arricchimento esperita nei confronti della P.A., il riconoscimento dell’utilità di una prestazione professionale, da parte di un ente pubblico si realizza con la mera utilizzazione della prestazione stessa, indipendentemente dal fatto che il destinatario utilizzatore sia un terzo (nella specie, un Comune), in quanto il vantaggio goduto dall’arricchito non deve necessariamente avere un contenuto di incremento patrimoniale, ma può consistere in qualsiasi forma di utilizzazione della prestazione consapevolmente attuata dalla P.A. (e, quindi, anche in un semplice risparmio di spesa, ravvisabile, nella specie, nel mancato esborso per procurarsi altro idoneo progetto da trasmettere al Comune per la realizzazione delle opere)” ( Cass. Sez.3, 19059/2003). E’ stato, tuttavia, precisato dal giudice di legittimità come “La diminuzione patrimoniale subita dall’autore di una prestazione d’opera in favore della P.A., in assenza di un contratto valido ed efficace, da compensare ai sensi dell’art. 2041 c.c., non può essere fatta coincidere con la misura del compenso calcolato mediante il parametro della tariffa professionale e nel rispetto dei fattori di importanza dell’opera e del decoro della professione (art. 2233 c.c.) ma, oltre ai costi ed esborsi sopportati (danno emergente), deve comunque ricomprendere quanto necessario a ristorare il sacrificio di tempo, nonché di energie mentali e fisiche del professionista (lucro cessante), del cui valore si deve tener conto in termini economici, al netto della percentuale di guadagno. A causa della difficoltà di determinazione del suo preciso ammontare, l’indennizzo può formare oggetto di una valutazione di carattere equitativo ai sensi dell’art. 1226 c.c., anche officiosa”.

Nel caso di specie, avendo erroneamente i giudici di appello, applicato in via automatica la tariffa professionale per la liquidazione della parcella, la sentenza deve essere rinviata alla Corte di appello, in diversa composizione, al fine della quantificazione equitativa, procedendo ad utilizzare la tariffa professionale come mero parametro con esclusione delle voci che determinerebbero il conseguimento di un pieno corrispettivo contrattuale, come le maggiorazioni previste per le particolari modalità o per l’urgenza con cui la prestazione è stata resa.

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