Mancato accantonamento fondo debiti commerciali in ente in avanzo

31 Luglio 2023
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L’accantonamento nel bilancio di previsione del Fondo di garanzia, per avere l’ente non rispettato i tempi medi di pagamenti, non può essere non considerato nel conto consuntivo anche se l’ente sia in avanzo e l’accantonamento permette all’ente pur sempre di rimanere in avanzo. Sono queste le indicazioni della Corte dei conti dell’Emilia Romagna (deliberazione n.171/2023).

Il fatto

Un ente locale che non ha rispettato i tempi medi di pagamento, ha correttamente accantonato le risorse finanziarie, previste dal legislatore a garanzia del successivo tempestivo pagamento ai fornitori, sia nel bilancio 2021 sia nel bilancio 2022. Tuttavia, in sede di consuntivo, tale accantonamento non era presente nella parte accantonata del prospetto dimostrativo del risultato di amministrazione in sede di rendiconto 2021.

La normativa di riferimento

La legge n. 145/2018, all’art. 1, commi 859 e ss., ha previsto l’accantonamento nella parte corrente del bilancio di previsione e del conto di bilancio, con decorrenza dall’esercizio 2021, del Fondo garanzia debiti commerciali, fissando le condizioni che lo rendono obbligatorio:

a) mancata riduzione del debito commerciale al 31/12 dell’anno precedente (2020) rispetto al debito alla medesima data del secondo anno precedente (2019) di almeno il 10%. In ogni caso le medesime misure non si applicano se il debito commerciale residuo scaduto, rilevato alla fine dell’esercizio precedente, non è superiore al 5 per cento del totale delle fatture ricevute nel medesimo esercizio;

b) nonostante il raggiungimento della riduzione del 10%, indicatore di ritardo annuale dei pagamenti, calcolato sulle fatture ricevute e scadute nell’anno precedente, non rispettoso dei termini di pagamento delle transazioni commerciali, come fissati dall’art. 4 del d. lgs. n. 231 del 9 ottobre 2002, impone l’accantonamento. Ai sensi del comma 862 dell’art. 1, citato, entro il 28 febbraio dell’esercizio in cui sono state rilevate le suddette condizioni riferite all’esercizio precedente, con delibera di Giunta l’ente stanzia nella parte corrente del proprio bilancio l’accantonamento in parola, sul quale non è possibile disporre impegni e pagamenti, che a fine esercizio confluisce nella quota accantonata del risultato di amministrazione, per un importo pari al:
a) 5 % degli stanziamenti riguardanti nell’esercizio in corso la spesa per acquisto di beni e servizi, in caso di mancata riduzione del 10% del debito commerciale residuo oppure per ritardi superiori a 60 giorni, registrati nell’esercizio precedente;
b) 3 % degli stanziamenti riguardanti nell’esercizio in corso la spesa per acquisto di beni e servizi, per ritardi compresi tra 31 e 60 giorni, registrati nell’esercizio precedente;
c) 2 % degli stanziamenti riguardanti nell’esercizio in corso la spesa per acquisto di beni e servizi, per ritardi compresi tra 11 e 30 giorni, registrati nell’esercizio precedente; d) 1 % degli stanziamenti riguardanti nell’esercizio in corso la spesa per acquisto di beni e servizi, per ritardi compresi tra 1 e 10 giorni, registrati nell’esercizio precedente.

Il successivo comma 863, prevede che “Nel corso dell’esercizio l’accantonamento al Fondo di garanzia debiti commerciali di cui al comma 862 è adeguato alle variazioni di bilancio relative agli stanziamenti della spesa per acquisto di beni e servizi e non riguarda gli stanziamenti di spesa che utilizzano risorse con specifico vincolo di destinazione. Il Fondo di garanzia debiti commerciali accantonato nel risultato di amministrazione è liberato nell’esercizio successivo a quello in cui sono rispettate le condizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 859”.

Nel caso di specie l’ente ha correttamente proceduto, nei due bilanci di previsione al calcolo dell’accantonamento, in ragione del ritardo dei pagamenti. Il medesimo Organo di revisione ha dato atto che: il debito commerciale residuo rilevato alla fine dell’esercizio precedente (2020) si è ridotto almeno del 10% rispetto a quello del secondo esercizio precedente (2019); il debito commerciale residuo scaduto, ai sensi dell’art. 33 D. Lgs. n. 33/2013, rilevato alla fine dell’esercizio precedente non è superiore al 5% del totale delle fatture ricevute nel medesimo esercizio; l’Ente ha assolto agli obblighi di trasparenza e di comunicazione dei dati dei pagamenti previsti dalla normativa vigente; l’Ente presenta un indicatore di ritardo annuale dei pagamenti, calcolato sulle fatture ricevute e scadute nell’anno precedente (2020) non rispettoso dei termini di pagamento delle transazioni commerciali (art. 1, L. n. 145/18, comma 859, lett. b).

Le indicazioni del Collegio contabile

In ragione della sopra indicata normativa, a dire dei giudici contabili, lo stanziamento in bilancio 2021-2023 operato dall’ente locale, sarebbe dovuto necessariamente confluire “a fine esercizio … nella quota accantonata del risultato di amministrazione”, eventualmente “adeguato alle variazioni di bilancio relative agli stanziamenti della spesa per acquisto di beni e servizi” (commi 862 e 863 citati), da valorizzare nel prospetto dimostrativo allegato al rendiconto 2021, che invece, nel dato di realtà manca di tale componente. Medesimo discorso vale anche per l’anno successivo.

Ciò, pertanto, ha comportato una mancata contrazione della parte disponibile del risultato di amministrazione sia nel 2021 che nel 2022, pari all’ammontare non accantonato del Fondo di garanzia in parola in entrambe le annualità, che di per sé non tramuta il segno del saldo da positivo in negativo. Tuttavia, al pari degli altri accantonamenti e vincoli del risultato di amministrazione non determinati in ossequio ai principi contabili, che incidono sul valore finale, potrebbe generarsi un disavanzo di amministrazione nell’esercizio a venire, qualora l’avanzo non accantonato, quindi erroneamente determinato in eccesso, dovesse trovare applicazione oltre la sua quota effettiva.

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