Nell’operazione di un investimento, con utilizzazione della normativa sul partenariato pubblico privato, nel calcolo ai fini della contabilizzazione dell’investimento in bilancio dell’ente, non va incluso il valore del canone di disponibilità se conforme al paradigma legislativo. Sono queste le conclusioni cui è giunta la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con la deliberazione n.359 del 25 settembre 2019.
Il dubbio del Sindaco
Dalla lettura dell’art.180 commi 4 e 6 del d.lgs. n.50/2016 il Sindaco esprime un dubbio sul corretto calcolo della somma massima messa a disposizione dell’ente per poter correttamente ricondurre una operazione di partenariato pubblico privato. In altri termini, se nel limite del 49 per cento posto dal comma 6, sia da includere o meno il canone di cui al comma 4 dell’art. 180 d.lgs. 50/2016, in considerazione delle indicazioni della normativa secondo la quale “l’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al quarantanove per cento del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari senza peraltro richiamare il canone di cui al citato comma 4”.
La differenza tra appalto e PPP
Precisa, in via preliminare il Collegio contabile lombardo, come la giurisprudenza contabile abbia da tempo indicato che i contratti di partenariato pubblico privato si connotano come contratti di durata che «pur permettendo alla PA di usufruire di un’infrastruttura senza doverne sopportare immediatamente il costo di realizzazione, non costituiscono necessariamente, per l’ordinamento contabile europeo (SEC 2010), “indebitamento”, o meglio, “debito” (in particolare, ai fini della redazione del “conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche”), ma solo nella misura in cui l’allocazione dei rischi tipizzati dal legislatore (di “costruzione” ed uno fra “disponibilità” e “domanda”, cfr. art. 180, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016), in base alle clausole del concreto contratto stipulato, sia prevalentemente posta a carico della PA committente (può farsi rinvio, altresì, alla sintetica definizione di “rischio operativo” contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. zz), del d.lgs. n. 50 del 2016, per le concessioni di lavori o di servizi, l’archetipo dei contratti di PPP). Se, invece, i rischi contrattuali sono correttamente allocati in capo all’operatore economico privato, in aderenza alle decisioni Eurostat (in particolare, a quella dell’11 febbraio 2004, citata anche nella deliberazione della Sezione delle Autonomie n. 26/2016/QMIG), richiamate dall’art. 3, comma 1, lett. eee), del d.lgs. n. 50 del 2016, l’operazione non va qualificata in termini di indebitamento (rectius, debito) per la PA committente, ma ritenuta, come detto in gergo, “off balance”. Al contrario, nel caso in cui la locazione finanziaria di opere pubbliche, come altro contratto di PPP, mascheri l’assunzione di debito per la PA committente, in quanto i rischi sono allocati prevalentemente su quest’ultima (in virtù di garanzie, clausole di indicizzazione dei prezzi, mancata decurtazione del canone in assenza del godimento del bene, adeguamento del corrispettivo di riscatto in caso di incremento dei costi di costruzione, etc.), allora il contratto viene considerato fonte di debito per la PA (e, come tale, va contabilizzato on balance)» (C. conti, sez. contr. Lombardia /230/2017/PAR del 6 settembre 2017, nonché C. conti, sez. Aut., deliberazione n. 15/2017/QMIG).
Pertanto, nel contratto di PPP è trasferito in capo all’operatore economico il rischio di costruzione (ossia , «il rischio legato al ritardo nei tempi di consegna, al non rispetto degli standard di progetto, all’aumento dei costi, a inconvenienti di tipo tecnico nell’opera e al mancato completamento dell’opera»), il rischio di disponibilità (alias, «il rischio legato alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti») o, nei casi di attività redditizia verso l’esterno, il rischio di domanda dei servizi resi durante il periodo di gestione dell’opera da parte dell’operatore economico (“rischio”, quest’ultimo, «legato ai diversi volumi di domanda del servizio che il concessionario deve soddisfare, ovvero il rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa»).
La contribuzione dell’ente
Stabilita la cornice dell’operazione di partenariato pubblico privato, resta ora da verificare le contropartite economiche poste a carico dell’Amministrazione committente evidenziando, ai fini del quesito formulato dal Sindaco, che il legislatore opera una linea di demarcazione “temporale” tra la fase della progettazione/costruzione dell’opera e la fase della gestione della stessa.
In particolare il prezzo deve essere definito in sede di gara per l’individuazione dell’operatore economico del negozio di PPP può consistere «in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico. A titolo di contributo può essere riconosciuto un diritto di godimento, la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all’opera da affidare in concessione. Le modalità di utilizzazione dei beni immobili sono definite dall’amministrazione aggiudicatrice e costituiscono uno dei presupposti che determinano l’equilibrio economico-finanziario della concessione» (art. 180, comma 6, d.lgs. n. 50/16). Si tratta, in altri termini, della contribuzione economica dell’ente quale remunerazione per l’onere che grava sull’operatore economico di finanziamento dell’opera. Questo prezzo, definito ex ante dall’ente non potrà superare il valore del 49% pena la degradazione dell’operazione ad appalto con la conseguente contabilizzazione dell’interno investimento in quanto l’operazione di qualifica come indebitamento.
Il canone di disponibilità
A differenza del prezzo, stabilito in sede di gara quale contribuzione da parte dell’ente atta ad assicurare l’equilibrio economico finanziario dell’investimento, il canone di disponibilità è il “corrispettivo” che può essere posto a carico dell’Amministrazione per la messa a “disponibilità dell’opera” o per “la domanda di servizi”. Il canone, infatti, viene pattuito solo al fine di regolamentare le partite economiche della successiva fase di gestione dell’opera realizzata con lo strumento del PPP. Ne consegue che, se l’Amministrazione prevede la corresponsione di un canone per la messa a “disponibilità dell’opera” o per “la domanda di servizi”, questo – per essere realmente ricondotto al paradigma normativo del comma 4 e, quindi, essere anche escluso dal tetto del 49% fissato dal comma 6 – deve in concreto essere modulato e quantificato in modo tale da remunerare esclusivamente detta “disponibilità dell’opera” o “domanda di servizi”. Infatti, oltre al rischio di costruzione l’opera pubblica per essere qualificata come opera fuori dal bilancio deve lasciare all’operatore economico almeno due dei seguenti tre rischi: a) costruzione; b) disponibilità; c) domanda.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento