Nessun adeguamento ai compensi degli amministratori delle società partecipate prima della legge

12 Maggio 2023
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In attesa dell’emanazione del Decreto del Ministero dell’Economia, i compensi degli amministratori delle società partecipate non possono essere adeguati, a nulla rilevando la definizione degli scaglioni previsti dal d.lgs. 175/2016 che non possono essere prese come parametro di riferimento ai fini del possibile adeguamento dei compensi. Sono queste le indicazioni della Corte dei conti del Veneto (deliberazione n.160/2023).

La richiesta

Un Sindaco ha chiesto ai magistrati contabili di risolvere il dubbio su un possibile adeguamento dei compensi degli amministratori delle società partecipate. Infatti, il limite imposto dal 7° comma dell’art. 11 del d.lgs. n.175/2016, ha previsto di parametrare i compensi degli amministratori a quelli del lontano 2013. Tuttavia, tale indicazione, a parere del Primo cittadino, andrebbe intesa, avuto riguardo nel caso di specie ad una società nata nel 2014 dalla fusione per incorporazione di due società interamente comunali, mediante sommatoria di quelli riconosciuti agli amministratori delle due precedenti società pubbliche sia per l’implementazione delle attività rientranti nell’oggetto sociale dell’unica società che delle correlate e accresciute responsabilità manageriali. La sommatoria dei compensi riconosciuti nel 2013 consentirebbe almeno in minima parte di “retribuire” l’attuale dirigenza nel pieno rispetto del principio di uguaglianza tra le società pubbliche nazionali e quelle private o pubbliche che non risultano assoggettate a tali vincoli. In ogni caso, la sommatoria di tali compensi andrebbe contenuto al di sotto delle soglie indicate nello schema di decreto non ancora approvato. D’altra parte, insiste il Sindaco, è la stessa Corte dei conti a SS.RR. che, nella deliberazione n.19/2020, avente ad oggetto “Il processo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie detenute dai ministeri e dagli altri enti pubblici soggetti al controllo delle Sezioni riunite della Corte dei Conti”, avrebbe lasciato “intendere che in caso di fusione di due società il compenso dell’Amministratore della Società rinveniente dal processo di fusione – che ha reso più complessa la struttura sociale – può essere superiore al minimo edittale”

Le indicazioni del Collegio contabile

Il Testo Unico delle Società Partecipate ha previsto, all’art.11, un nuovo sistema per la determinazione dei compensi degli amministratori delle società partecipate in mano pubblica, demandando ad un decreto del Ministro dell’economia (da adottarsi d’intesa con la Conferenza unificata in caso di società controllate dalle Regioni o dagli enti locali) la definizione degli indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi per la classificazione delle società a controllo pubblico in un numero di fasce fino a cinque, in relazione a ciascuna delle quali dovrà essere stabilito in modo proporzionale “il limite dei compensi massimi al quale gli organi di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni o da altre società a controllo pubblico (c.d. “Decreto fasce”). Prima del citato decreto, il legislatore ha individuato una fase transitoria stabilendo che, fino all’emanazione del menzionato D.M. “restano in vigore le disposizioni di cui all’articolo 4, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 24 dicembre 2013, n. 166”.
Ad oggi il Decreto fasce non risulta ancora approvato, con la conseguenza che, avendo la normativa carattere tassativa, e, in difetto di espressa previsione di legge, non può, essere derogato in conseguenza di un’evoluzione rispetto alla configurazione originaria della società, ovvero in presenza di situazioni nuove e contingenti come, ad esempio, le aumentate competenze della società o l’ampliamento della relativa struttura in esito a operazione di aggregazione derivate dalla necessità di dare attuazione a piani di razionalizzazione delle partecipazioni societarie, di implementazione delle attività rientranti nell’oggetto sociale della società, di correlate e accresciute responsabilità manageriali.

Conclusioni

Il Collegio contabile, pur prendendo atto del ritardo con il quale il MEF avrebbe dovuto approvare il Decreto previsto dalla normativa, non può non rilevare che, poiché alla data di adozione della presente delibera il menzionato decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze avente a oggetto, per le società a controllo pubblico, la definizione di “indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle suddette società ….” non risulta ancora approvato, non potendo, pertanto, l’ente che attenersi alle disposizioni legislative vigenti.

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