È quanto emerge dalla sentenza n. 6108 della Corte suprema depositata il 30 marzo 2016.
Fatto
Una società consortile per azioni impugnava il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso per versamenti effettuati a titolo di ravvedimento operoso, relativi agli anni d’imposta 1999 e 2000.
In particolare, l’istante lamentava la mancanza di coscienza e volontà e la obiettiva incertezza interpretativa delle norme che regolavano la materia, ai sensi del Dlgs 472/1997, articoli 5 e 6, e della legge 212/2000, articolo 10, comma 3.
Difatti, per effetto della legge 370/1999, alla società istante era stata riconosciuta la natura di società di interesse nazionale ex articolo 2461 del codice civile, con conseguente inquadramento tra gli enti non commerciali e la necessità di individuare il regime fiscale da applicare ai contributi in conto capitale ricevuti in precedenza dall’ente.
Sulla questione era stata interpellata la stessa Agenzia delle Entrate la quale, con la risoluzione 78/E del 31 maggio 2001, aveva chiarito che il passaggio dal regime fiscale delle società commerciali a quello delle società di interesse nazionale, con inquadramento tra gli enti non commerciali, imponeva la tassazione dei contributi oggetto di rateizzazione, con una variazione in aumento nell’ultima dichiarazione dei redditi presentata sotto il regime anteriore.
Da qui, la scelta della società di versare le maggiori imposte dovute e le sanzioni in misura ridotta a titolo di ravvedimento operoso.
Investita della questione, la Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso.
Analogo verdetto in appello. Secondo i giudici di merito, infatti, per giustificare la ripetizione di quanto pagato a titolo di ravvedimento, non poteva applicarsi l’esimente dell’incertezza interpretativa, posto che la risoluzione del ministero delle Finanze era intervenuta prima che venisse effettuato il pagamento delle imposte e delle sanzioni in misura ridotta.
Inoltre, la prospettata esimente fa esclusivo riferimento alle sanzioni irrogate dall’Amministrazione, mentre, nel caso in esame, la parte aveva fatto ricorso al ravvedimento operoso.
Il giudizio, quindi, approda in Cassazione su ricorso della società, che lamenta la violazione e falsa applicazione del Dlgs 472/1997, articoli 5 e 6, nonché della legge 212/2000, articolo 10, comma 3.
Decisione e ulteriori osservazioni
La Corte suprema, nel confermare la decisione dei giudici di merito, rigetta il ricorso, affermando il principio di diritto secondo cui “Il versamento di sanzioni in misura ridotta a titolo di ravvedimento operoso, D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 13, infatti, se non produce alcun effetto preclusivo in ordine ad un eventuale accertamento da parte dell’Ufficio (Cass. 24424/2008) costituisce, al contrario, causa ostativa al rimborso di quanto versato a tale titolo da parte del contribuente, laddove l’istanza di rimborso sia fondata, come nel caso di specie, sulla carenza del presupposto sanzionatorio”.
Una volta che il contribuente scelga di avvalersi del ravvedimento operoso, gli è preclusa la ripetizione delle somme versate, con conseguente inammissibilità della relativa istanza, salvo il caso di errori formali essenziali e riconoscibili.
Difatti, il ravvedimento operoso, implicando il riconoscimento della violazione e della sussistenza dei presupposti di applicabilità della relativa sanzione, è incompatibile con la successiva istanza di rimborso della sanzione versata, ponendosi, una siffatta istanza, in palese contraddizione con la scelta effettuata dal contribuente.
Del resto, osservano i giudici, “la mancanza di colpevolezza D.Lgs. n. 472 del 1997 , ex art. 5 e la causa esonerativa di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10 rilevano e possono essere invocate dal contribuente nel solo caso di sanzioni inflitte dall’Amministrazione, ma non anche quando il pagamento della sanzione, in misura ridotta, usufruendo in tal modo di misura agevolativa, sia frutto di una scelta del contribuente medesimo, che abbia fatto ricorso al c.d. ravvedimento operoso”.
In particolare, i giudici, con il richiamo ad alcuni precedenti giurisprudenziali (cfr ex multis Cassazione, 14828/2008, 4566/2015 e 1967/2012), sembrano assimilare l’istituto del ravvedimento a quello di definizione agevolata.
Anche con riferimento al condono fiscale è stato chiarito che la presentazione della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, giacché il condono costituisce una modalità di definizione “transattiva” della controversia, da cui consegue il componimento delle opposte pretese e quindi l’azzeramento, a fronte di eventuali ulteriori rivendicazioni del Fisco, della richiesta del contribuente al rimborso.
In entrambi i casi, il contribuente sceglie volontariamente di versare le somme risultanti dall’applicazione di parametri predeterminati, ben consapevole della violazione fiscale posta in essere. Di contro, le esimenti, poste a fondamento della difesa, escludono a priori la punibilità del soggetto per carenza del presupposto soggettivo.
Giova ricordare che l’istituto del ravvedimento operoso, previsto dall’articolo 13 del Dlgs 472/1997, consente all’autore (o agli autori) delle violazioni e ai soggetti solidamente obbligati di rimediare spontaneamente, secondo le modalità ed entro precisi limiti temporali stabiliti dalla norma, alle omissioni e alle irregolarità commesse, beneficiando di una riduzione delle sanzioni.
Con la circolare 23/2015, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta a fornire una breve guida sull’istituto del ravvedimento operoso, radicalmente rinnovato dalla legge 190/2014 (Stabilità 2015), che può essere adesso utilizzato fino alla scadenza dei termini previsti per l’accertamento.
Il legislatore, infatti, punta a ridurre le liti e a premiare i contribuenti più tempestivi nell’autocorrezione, graduando le sanzioni in base al tempo trascorso dalla commissione delle violazioni. Da qui, la logica conseguenza di negare il rimborso della sanzione versata al contribuente che, avvalendosi dell’istituto, abbia implicitamente riconosciuto la violazione e la sussistenza dei presupposti di applicabilità della relativa sanzione.
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