Interessante contributo, sulle passività potenziali, contenuto nel documento di ricerca elaborato dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti, utile anche per gli enti locali per i principi della contabilità armonizzata, spesso richiamati dalla giurisprudenza contabile per la valutazione in bilancio. Il documento di ricerca classifica le passività potenziali in tre categorie: passività “probabile” da iscrivere in un fondo rischi; passività “possibile” da richiamare nella nota integrativa e passività “remota” che non richiede alcuna informativa di bilancio.
Le passività potenziali “probabili”
Per il principio contabile italiano (OIC 31) prevede che “i fondi rischi rappresentano passività di natura determinata ed esistenza probabile, i cui valori sono stimati. Si tratta, quindi, di passività potenziali connesse a situazione esistenti alla data di bilancio, ma caratterizzate da uno stato d’incertezza il cui esito dipendente dal verificarsi o meno di uno o più eventi”.
L’evento è “probabile” qualora il suo accadimento è ritenuto verosimile, quindi concretizzabile. Si tratta di passività esistenti, ma con esito incerto che si risolveranno in futuro. È chiaro che, affinché si possa classificare come “probabile”, la passività deve possedere i caratteri della “verosimiglianza” in relazione alle informazioni di cui si è in possesso alla data di chiusura del bilancio. In altri termini, si classifica passività “possibile”, la passività che, seppur legata ad eventi futuri, si caratterizza per un’”esistenza probabile” scarsamente definibile, tale da rendere non “verosimile” che l’evento possa produrre una perdita.
Alla luce di quanto sopra esposto, la maggiore difficoltà, affinché si possa parlare di “passività potenziale”, è quindi quella di stabilire quando la “probabilità” è tale da tramutarsi in effettivo rischio, ovvero in un’incertezza misurabile.
In definitiva, l’“esistenza probabile” e “stato di incertezza” non possono essere definite a priori senza aver valutato con attenzione il rischio di una perdita che ne potrebbe derivare e gli effetti sugli equilibri economici e finanziari dell’impresa. Il rischio, indubbiamente, rappresenta una variabile da non trascurare, ma da valutare in relazione alle informazioni raccolte e la frequenza con cui un fenomeno si ripete. La sola definizione del rischio permette di stabilire la distinzione tra passività probabile con rischio determinato, rispetto alla passività “possibile” o “remota”, entrambe, seppur in misura differente, di natura incerta e non misurabile.
Nei principi contabili internazionali il concetto di passività potenziale, nei principi contabili internazionali, viene direttamente correlato alla definizione di obbligazione con una distinzione tra “attuale” o “possibile”.
Nel principio IAS 37, la probabilità è descritta come segue: “[…] più verosimile che il fatto si verifichi piuttosto che il contrario, cioè la probabilità che il fatto si verificherà è maggiore della probabilità che non si verificherà”. In altri termini, la probabilità si registra qualora l’eventualità che si definisca un impiego di risorse finanziarie per l’impresa è maggiore del 50%.
Lo stanziamento al fondo rischi
Per i principi contabili italiani sono classificabili come fondi rischi, le passività i cui valori stimati presentano una natura determinata ed esistenza probabile, relativamente a situazioni in essere alla data di chiusura del bilancio. Pertanto, l’incertezza misurabile, correlata ad un rischio, confluisce in un fondo, diversamente si procede ad una mera annotazione nella nota integrativa, se la passività potenziale risulta “possibile”, senza alcuna nota di bilancio se invece a passività potenziale è classificabile come “remota”.
Per i principi contabili internazionali l’accantonamento al fondo rischi è richiesto nel caso di obbligazioni attuali (o più che probabili) e non anche per quelle obbligazioni possibili (meno del 50% di probabilità), o remote, per cui non è stimabile con esattezza l’an e/o il quantum relativo all’esborso finanziario futuro collegabile ad un evento passato vincolante.
Il documento di ricerca precisa come l’accantonamento per rischi non può avere come finalità quella di correggere i valori dell’attivo. Pertanto, gli accantonamenti non possono essere utilizzati quali poste rettificative dei valori iscritti nell’attivo patrimoniale, dovendo i fondi stessi avere, tutt’al più, una diretta e determinata correlazione con un rischio futuro riconducibile ai beni nell’attivo. Il fondo rischi non può coprire un rischio generico ma deve essere rappresentativo di uno specifico evento futuro potenzialmente dannoso, ovvero un evento che possa concretamente determinare il “deterioramento o perdita dell’attività”. La ratio con cui viene costituito il fondo rischi è quello di attivare un processo di autofinanziamento, attraverso la contabilizzazione di un costo non monetario.
S questo è vero per le passività “probabili” con ammontare determinabile, con riferimento alla passività “probabile” con ammontare non determinabile, quindi, passività “possibile” o “remota”, non vi è alcuno stanziamento nei fondi rischi futuri.
In sintesi, considerare un’obbligazione come attuale o comunque probabile, richieda una serie di riflessioni non sempre semplici da definire. La principale difficoltà è sicuramente quella di stabilire se si è in presenza di un’“incertezza misurabile” (passività probabile) rispetto un’“incertezza non misurabile” (passività possibile o remota). L’eventualità del rischio futuro riconducibile ad un’obbligazione passata richiede l’iscrizione in un fondo ad esso dedicato, poiché classificabile come passività probabile. Nell’ipotesi di passività possibile, riconducibile a situazioni esistenti alla data di bilancio, per le quali non è affatto possibile determinare con ragionevole certezza il danno futuro, è sufficiente un richiamo tra le note di bilancio, nello specifico in nota integrativa. L’ultima categoria, rappresentata dalle passività remota non richiede alcun tipo di informativa.
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