La domanda
Un Sindaco di un ente locale ha chiesto ai magistrati contabili se sia possibile accendere un mutuo per il pagamento di un debito fuori bilancio e quale sia a tal fine l’iter che l’ente deve seguire.
La risposta
In presenza di un debito fuori bilancio, discendente da una sentenza esecutiva, l’ente locale ha l’obbligo, in sede di salvaguardia degli equilibri di bilancio, dove l’organo Consiliare, almeno una volta l’anno (31 luglio), provvede con propria delibera a dare atto del permanere degli equilibri generali e, in caso di accertamento negativo, ad adottare contestualmente misure adeguate, tra cui, i provvedimenti per il ripiano degli eventuali debiti fuori bilancio. In particolare, l’art. 194, comma 3, del TUEL statuisce che, fermo restando quanto stabilito dall’art. 194, comma 2 (piani di rateizzazione della durata di tre anni convenuti con i creditori) “possono essere utilizzate per l’anno in corso e per i due successivi le possibili economie di spesa e tutte le entrate, ad eccezione di quelle provenienti da prestiti e di quelle con specifico vincolo di destinazione, nonché i proventi da alienazione di beni patrimoniali disponibili e da altre entrate in c/capitale con riferimento a squilibri di parte capitale. Ove non possa provvedersi con le modalità sopra indicate è possibile impiegare la quota libera del risultato di amministrazione […].” In altri termini, per poter accedere alla stipula di un mutuo l’ente deve dimostrare in via documentale di non avere risorse sufficienti per la copertura dei debiti fuori bilancio. Pertanto, una volta dimostrata l’impossibilità della copertura in sede di salvaguardia degli equilibri di bilancio, l’ente potrà fare ricorso alla copertura mediante l’accensione di un mutuo ma esclusivamente se si tratti di spese per investimenti e non per dare copertura a spese correnti, il cui divieto di copertura delle spese correnti è stato sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.3/2001. Il legislatore, in coerenza con tale divieto, ha avuto modo di precisare all’art.30, comma 15, della legge 27 dicembre 2002 n. 289, la generale nullità degli atti e dei contratti di indebitamento degli enti territoriali stipulati in violazione dell’art.119 della Costituzione per il finanziamento di spese diverse da quelle d’investimento. Le spese di investimento, inoltre, sono quelle elencate nell’art. 3, comma 18 dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350 (tra le tante: Corte dei conti, Sezioni Riunite, deliberazione n. 25/2022).
Inoltre, l’art. 202 del TUEL ha previsto che il ricorso all’indebitamento è possibile solo se sussistano, ex art. 203, comma 1, le seguenti condizioni:
a) avvenuta approvazione del rendiconto dell’esercizio del penultimo anno precedente quello in cui si intende deliberare il ricorso a forme di indebitamento;
b) avvenuta deliberazione del bilancio di previsione nel quale sono iscritti i relativi stanziamenti”.
L’art. 203 al comma 2, aggiunge “Ove nel corso dell’esercizio si renda necessario attuare nuovi investimenti o variare quelli già in atto, l’organo consiliare adotta apposita variazione al bilancio di previsione, fermo restando l’adempimento degli obblighi di cui al comma 1.”
Resta fermo, infine, il rispetto del limite “quantitativo” di cui all’art. 204 del TUEL secondo cui “l’ente locale può assumere nuovi mutui e accedere ad altre forme di finanziamento reperibili sul mercato solo se l’importo annuale degli interessi, sommato a quello dei mutui precedentemente contratti, a quello dei prestiti obbligazionari precedentemente emessi, a quello delle aperture di credito stipulate e a quello derivante da garanzie prestate ai sensi dell’articolo 207, al netto dei contributi statali e regionali in conto interessi, non supera […] il 10 per cento, a decorrere dall’anno 2015, delle entrate relative ai primi tre titoli delle entrate del rendiconto del penultimo anno precedente quello in cui viene prevista l’assunzione dei mutui.”
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