Secondo quanto più volte chiarito dalla prassi amministrativa (cfr. la circolare dell’Agenza delle Entrate n. 35/E, pubblicata nel sito istituzionale il 17 dicembre 2013, le risposte ad interpelli n. 84 del 26 novembre 2018, n. 176 del 31 maggio 2019, n. 510 del 26 luglio 2021), il citato articolo è stato introdotto nel nostro ordinamento al fine di ripristinare la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa (esercitabile dal fornitore soggetto passivo) e dal diritto di detrazione (esercitabile dell’acquirente soggetto passivo) consentendo il normale funzionamento dell’imposta, la quale deve, per sua natura, colpire i consumatori finali e non gli operatori economici.
Si tratta di un istituto avente carattere facoltativo e natura privatistica, inerendo non al rapporto tributario ma ai rapporti interni fra i contribuenti.
L’operatività della rivalsa è subordinata, tuttavia, alla presenza di determinati presupposti, tra i quali la riferibilità dell’imposta accertata a specifiche operazioni, la conoscibilità del cessionario/committente, la definizione dell’accertamento e l’avvenuto versamento dell’imposta o della maggiore imposta accertata, delle sanzioni e degli interessi.
In merito alla definitività dell’accertamento, con la citata circolare 35/E del 2013 è stato chiarito, che l’articolo 60, ultimo comma, del decreto IVA si applica anche nei casi in cui, in relazione ad un accertamento operato dall’amministrazione finanziaria, il contribuente provveda a definirlo utilizzando uno degli strumenti deflattivi del contenzioso tributario previsti dall’ordinamento, tra i quali, l’istituto dell’accertamento con adesione/adesione all’invito al contraddittorio, di cui agli artt. 6 e seguenti del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (cfr. punto 2.1).
Ugualmente, come precisato dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 481/2023, pubblicata il 24 dicembre 2023, non rappresenta un impedimento l’adesione alla più recente procedura di definizione agevolata ex art. 1, commi da 179 a 184, della legge 29 dicembre 2022, n. 197: in tale evenienza, infatti, il contribuente beneficia dell’applicazione delle sanzioni previste rispettivamente dai commi 5 e 3 degli artt. 2 e 3 del .d.lgs. n. 218/1997, nella misura di un diciottesimo del minimo previsto dalla legge (cfr. circolare del 27 gennaio 2023, n. 2) ma non anche di una riduzione dell’importo del tributo, dovuto all’Erario per intero.
L’interessato, per esercitare progressivamente il diritto alla rivalsa dell’IVA, dovrà emettere, a seguito del pagamento delle singole rate, una fattura (o una nota di variazione in aumento di cui all’art. 26, comma 1 del Decreto IVA), con le indicazioni previste dall’art. 21 ovvero con i dati semplificati di cui all’art. 21-bis (richiamando altresì, laddove emessa/e, la/e fattura/e originaria/e), e con gli estremi identificativi dell’atto di accertamento che costituisce titolo alla rivalsa. A tal riguardo, la fattura/nota di variazione emessa dovrà esporre l’imponibile e l’imposta. L’emissione di una nota di variazione di sola IVA è, infatti, consentita solo in presenza di una fattura già emessa, seppur errata/incompleta, cui va fatto riferimento nel nuovo documento emesso per esercitare la rivalsa.
I documenti andranno annotati nel registro di cui all’art. 23 del Decreto IVA solo per memoria, perché l’imposta recuperata a titolo di rivalsa non dovrà partecipare alla liquidazione periodica, né essere indicata in una posta a debito nella dichiarazione annuale (cfr. circolare 35/e del 2013, punto 4.1).
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