Società partecipate – Legge di stabilità 2014: le novità dagli enti locali

20 Gennaio 2014
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di Antonello Cocco

La legge di stabilità vi dedica ampio spazio dal comma 550 al comma 569, laddove ridisegna la disciplina applicabile agli organismi partecipati dagli enti locali.

In primo luogo vi è da evidenziare l’ampliamento dei soggetti che la normativa disciplina: non più solo le società, ma anche le istituzioni e le aziende speciali con la sola esclusione degli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del testo unico (approvato con il decreto legislativo 385/1993) e delle società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e le loro controllate.

Si tratta di un provvedimento normativo che prende in considerazione ed accomuna tipologie di soggetti sottoposti a differenti regimi giuridici: società di diritto privato come le società e soggetti pubblicistici come le aziende speciali, soggetti dotati di autonomia giuridica come le società o le aziende speciali e soggetti privi di qualsiasi autonomia giuridica come le istituzioni.

Si prevede che, dall’anno 2015, per le aziende speciali, le istituzioni e le società partecipate dagli enti locali, che presentino un risultato di esercizio o un saldo finanziario negativo, gli enti locali partecipanti accantonino nell’anno successivo, in un apposito fondo vincolato, che per natura potrebbe essere considerato analogo a un fondo rischi, un importo equivalente al risultato negativo che non è stato rippianato.

L’importo da accantonare è determinato in misura proporzionale alla quota di possesso nella partecipata.

 L’importo accantonato che, a fine esercizio, confluisce nell’avanzo di amministrazione vincolato, è reso disponibile solo nel caso in cui l’ente partecipante ripiani la perdita di esercizio, dismetta la partecipazione o allorquando l’organismo partecipato sia posto in liquidazione.

Lo stesso accade nel caso in cui gli organismi partecipati ripianino in tutto o in parte le perdite conseguite negli esercizi precedenti.

Per le società Holding e per quelle operative che detengono partecipazioni in altre società, che redigono il bilancio consolidato, viene precisato che il risultato di esercizio da prendere in considerazione è quello relativo a tale bilancio.

Per le società che svolgono servizi pubblici a rete di rilevanza economica, ivi compresa la gestione dei rifiuti, per risultato d’esercizio s’intende il risultato operativo lordo (M.O.L.) dato dalla differenza tra il valore della produzione e il costo della produzione.

 In questo caso, quindi, si prende in considerazione un risultato parziale della complessa attività societaria che è quello afferente alla gestione dell’area “caratteristica”.

 In questo modo la norma spinge per l’adozione di un criterio prudenziale con l’obiettivo di evitare che nella predisposizione del bilancio di previsione dell’ente locale non siano prese in considerazione le perdite della partecipata e che le stesse possano, in futuro, incidere negativamente sugli equilibri di bilancio.

Per evitare che l’impatto della norma porti a conseguenze non volute o troppo pesanti sulla programmazione di bilancio dell’ente locale, gli accantonamenti al fondo vincolato, che decorrono dall’esercizio 2015, sono effettuati con una particolare metodologia che tende a considerare non solo il risultato dell’esercizio precedente, ma anche, in sede di prima applicazione, la media dei risultati del triennio 2011-2013 distinguendo il caso nel quale il risultato medio triennale sia positivo o negativo (1).

Dall’esercizio 2015, gli organismi gestionali partecipati dagli enti locali, che siano titolari di affidamento diretto senza gara da parte di soggetti pubblici per una quota superiore all’80 per cento del valore della produzione, che nei tre esercizi precedenti abbiano conseguito un risultato economico negativo, riducono del 30 per cento il compenso dei componenti del consiglio di amministrazione o dell’amministratore unico.

In presenza di un risultato economico negativo per due anni consecutivi si crea una giusta causa per la revoca degli amministratori.

Queste due sanzioni non si applicano agli organismi gestionali il cui risultato economico, benché negativo, sia coerente con un piano di risanamento preventivamente approvato dall’ente controllante. E questo chiaramente per non incidere su un processo di risanamento della partecipata che sia stato già avvallato dell’ente locale controllante.

Con la legge n° 147/2013 vengono abrogati i commi 1, 2, 3, 3 sexies, 9, 10 e 11 dell’articolo 4 del decreto legge 95/2012 convertito, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.

In questo modo viene abrogata la normativa che:

  • prevedeva lo scioglimento o la privatizzazione, entro il 31 dicembre 2013 delle società strumentali, cioè di quelle società che avevano conseguito nell’esercizio 2011 un fatturato da prestazioni di servizi nei confronti degli enti locali in misura superiore al 90% del volume complessivo dei ricavi da prestazione di servizi iscritti a conto economico;

  • le disposizioni limitative delle assunzioni (riviste in maniera uniforme per tutte le tipologie di organismi partecipati, con il nuovo articolo 18, comma 2 bis della legge 133 del 2008 introdotto dall’attuale legge) (2),

  • la limitazione ad avvalersi di personale a tempo determinato o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa nei limiti del 50% della stessa spesa sostenuta nell’esercizio 2009.

Sono mantenuti, invece, i commi 7 e 8 risolvendo in tal modo il problema dell’interpretazione da attribuire al combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’articolo 4 che numerosi problemi aveva creato sulla possibilità o meno di utilizzare lo strumento dell’in house providing.

Nella vigenza dei commi 1, 7 e 8 si erano sviluppate due tesi interpretative.

La prima tesi, avvallata dalle Sezioni regionali di Controllo della Corte dei Conti si basava sulla considerazione che il principio centrale della norma fosse costituito non dal primo, ma dal settimo e dall’ottavo comma dell’articolo 4. Da ciò sarebbe derivata la tesi per la quale le società in house sarebbero ricadute nella disciplina del comma 8, intendendosi tale comma come disciplina speciale e alternativa rispetto al comma 1.

Questa interpretazione era consona sia alla natura della società strumentale, che nella realtà costituisce un’articolazione dell’ente pubblico, sia al significato proprio del comma 1, che ha come obiettivo la tutela della concorrenza, eliminando quelle società controllate che pur svolgendo, di fatto, le proprie attività in via esclusiva per il socio pubblico non rispondono a tutti i requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house.

La seconda tesi riteneva che la ratio della norma fosse la messain liquidazione e privatizzazione delle società pubbliche con l’obiettivo di diminuire il numero delle società partecipate in vista della riduzione delle spese pubbliche. In questa interpretazione il comma 8 avrebbe fatto parte di un gruppo di norme serventi tale obiettivo, dirette a disciplinare l’organizzazione e il funzionamento delle società, che fossero rimaste operative in base all’applicazione della normativa.

Con l’abrogazione del comma 1 dell’articolo 9 del decreto legge 95/2012 si dà nuovo vigore e legittimità alle società in house degli enti locali, riallineando l’ordinamento giuridico ai princìpi comunitari in materia di partecipazioni per i quali il modello dell‘in house providing è un modello organizzativo legittimo cui gli enti locali possono ricorrere nel rispetto dei dettami comunitari.

Con la legge n° 147/2013 vengono, inoltre, abrogati i commi dall’1 al 7 dell’articolo 9 del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95.

L’abrogazione parziale dell’articolo 9 determina l’abrogazione della norma che imponeva agli enti locali la soppressione, l’accorpamento o la riduzione degli oneri finanziari in misura non inferiore al 20%, degli enti, delle agenzie e degli organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che alla data del 15 agosto 2012 esercitavano le funzioni fondamentali previste dall’art. 117, comma 2, lett. p) della Costituzione o funzioni amministrative spettanti a comuni, province e città metropolitane.

Con l’abrogazione del comma 32 del decreto legge 78/2010 vengono, inoltre, eliminate le disposizioni che imponevano dei limiti al possesso di organismi partecipati, in relazione alle dimensioni demografiche dell’ente locale (nessuna società partecipata per i comuni sino ai trentamila abitanti, una sola partecipazione per i comuni compresi fra i trentamila e i cinquantamila abitanti).

Il problema della dismissione delle società partecipate è rinviato all’esercizio 2017. La legge di stabilità dispone che, in caso di risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti, le società partecipate (ad eccezione delle società che svolgono servizi pubblici locali), che realizzano un servizio superiore all’80 per cento a favore dell’ente partecipante, sono poste in liquidazione entro sei mesi dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto relativo all’ultimo esercizio.

La sanzione per il mancato avvio della procedura di liquidazione entro il predetto termine, consiste nella nullità dei successivi atti di gestione e la loro adozione comporta responsabilità erariale dei soci.

Abbandonato l’obiettivo di assoggettare le società partecipate alle regole del patto di stabilità e sviluppo interno, dall’esercizio 2014 gli organismi partecipati dagli enti locali concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, attraverso la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità e di efficienza.

Si tratta di una disposizione di principio con la quale si vuole far partecipi anche gli organismi gestionali al risanamento dei conti pubblici evitando che essi incidano negativamente con le perdite di bilancio e obbligandoli a migliorare la capacità di utilizzo delle risorse limitate a fronte del soddisfacimento di bisogni pubblici.

A tal fine, per i servizi pubblici locali, dovranno essere individuati dei parametri standard dei costi e dei rendimenti costruiti nell’ambito della banca dati delle Amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

Per gli organismi strumentali i parametri standard di riferimento sono costituiti dai prezzi di mercato. Saranno i prezzi di mercato per prestazioni similari a orientare le scelte dell’amministrazione locale. In altre parole è ribadito il concetto che il costo dei contratti di servizio non può essere superiore a quello praticato in regime di concorrenza.

Con la nuova normativa si tenta di porre rimedio a una legislazione stratificata, confusa e non sempre coerente in materia di dismissione delle società partecipate che:

  • ha avuto inizio con l’articolo 13, comma 1, del decreto legge 223/2006 il quale prevede che le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale;

  • è proseguita con l’articolo 3 della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008) il quale al comma 27 dispone che al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società; è sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi d’interesse generale ………… e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza;

  • è continuata con l’articolo 14 comma 32 del decreto legge 78/2010 che imponeva dei tetti numerici con riferimento alle dimensioni demografiche dell’Ente partecipante;

  • è stata portata avanti con gli articoli 4 e 9 del decreto legge 95/2013 aventi a oggetto rispettivamente “riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche” e “razionalizzazione amministrativa, divieto di istituzione e soppressione di enti, agenzie e organismi”.

Di questa stratificazione normativa permangono in vita solo le disposizioni dettate dalla legge 223/2006 e dalla legge 244/2007.

La nuova normativa si presenta innovativa, rispetto alle disposizioni cassate, poiché abbandona la regola della riduzione del numero delle partecipate sulla base di principi indifferenziati e generali, senza considerare la natura e le caratteristiche di ogni singolo organismo, adottando il criterio più razionale dell’efficienza economica (il risultato di bilancio).

Con la legge di stabilità 2014 sono inaspriti i vincoli in materia di personale. Si prevede, infatti, che le disposizioni a carico delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 165/2001, che stabiliscono divieti o limitazioni alle assunzioni di personale sono estesi, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche:

  • alle aziende speciali,
  • alle istituzioni,
  • alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi senza gara:
  • che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale,
  • che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione, a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto Nazionale di Statistica.

Agli organismi di cui sopra (e non solo alle società) si applicano le disposizioni che prevedono per gli enti locali gli obblighi di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze, attraverso l’estensione al personale dei soggetti partecipati della vigente normativa in materia di vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria.

Per questo motivo gli enti locali sono obbligati a elaborare un atto di indirizzo (nei confronti della partecipata) per il quale, nella contrattazione di secondo livello, sia stabilita la concreta applicazione dei citati vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria, fermo restando, dice la norma, il contratto nazionale di lavoro vigente alla data di entrata in vigore della presente disposizione.

In questo modo la legge di stabilità 2014 individua in maniera più adeguata i limiti agli incrementi stipendiali che debbono attenere sia al salario individuale sia a quello accessorio, ma precisa meglio che è fatta salva l’applicazione del contratto di categoria (che diverse Sezioni regionali di Controllo della Corte dei Conti avevano ritenuto non applicabile alle società partecipate), risolvendo in tal modo alla fonte i problemi d’incertezza applicativa.

Fermo restando quanto previsto dall’articolo 76, comma 7 del decreto 112/2008 (impossibilità ad assumere quando la spesa del personale rappresenta più del 50% della spesa corrente), le società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica sono escluse dall’applicazione diretta dei vincoli in materia di personale.

Per queste società, l’ente locale controllante, nell’esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo, deve stabilire le modalità e l’applicazione dei vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive.

Gli enti locali, inoltre, possono escludere da tale regime limitativo, con propria motivata deliberazione, le assunzioni di personale per le singole aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l’infanzia, culturali e alla persona (ex IPAB) e le farmacie, fermo restando l’obbligo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di risparmio e di contenimento della spesa di personale.

Nel passaggio dell’esame del provvedimento dal Senato alla Camera dei Deputati, riconfermate in terza lettura, sono state inserite, alcune disposizioni in materia di:

  • processi di mobilità del personale,

  • eccedenza del personale.

A proposito del primo punto le società controllate dagli enti locali (con la sola eccezione delle società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e delle società dalle stesse controllate) possono realizzare, senza la necessità del consenso del lavoratore, processi di mobilità del personalein relazione al proprio fabbisogno e per esigenze funzionali e organizzative proprie, con il solo obbligo dell’informativa alle rappresentanze aziendali e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo applicato in azienda.

E fatto divieto, altresì, di attuare processi di mobilità fra la partecipata e l’Ente controllante. In tal modo si vuole evitare una corsia di favore per l’accesso alla Pubblica Amministrazione dando nel contempo sostanza al dettato costituzionale per il quale nella Pubblica Amministrazione il percorso di accesso è rappresentato dal concorso pubblico.

 Riguardo al secondo punto le società partecipate che rilevino eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali e organizzative, oppure, nell’ipotesi in cui l’incidenza delle spese di personale sia pari o superiore al 50 per cento delle spese correnti, inviano alle rappresentanze sindacali operanti presso la società e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo dalla stessa applicato, un’informativa preventiva nella quale sono individuati il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale in eccedenza.

Entro dieci giorni dal ricevimento dell’informativa si procede, a cura dell’ente controllante, alla riallocazione totale o parziale del personale in eccedenza nell’ambito della stessa società mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro, ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti strumentali.

Per gestire tale problematica gli enti e le società controllate possono stipulare accordi collettivi e farsi carico di una quota del trattamento economico del personale interessato alla mobilità per un periodo non superiore ai tre anni e per una quota non eccedente il 30% del costo totale.

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(1) comma 552. Gli accantonamenti di cui al comma 551 si applicano a decorrere dall’anno 2015.

In sede di prima applicazione, per gli anni 2015, 2016 e 2017:

a) l’ente partecipante di soggetti che hanno registrato nel triennio 2011-2013 un risultato medio negativo accantona, in proporzione alla quota di partecipazione, una somma pari alla differenza tra il risultato conseguito nell’esercizio precedente e il risultato medio 2011-2013 migliorato, rispettivamente, del 25 per cento per il 2014, del 50 per cento per il 2015 e del 75 per cento per il 2016. Qualora il risultato negativo sia peggiore di quello medio registrato nel triennio 2011-2013, l’accantonamento è operato nella misura indicata dalla lettera b);

b) l’ente partecipante di soggetti che hanno registrato nel triennio 2011-2013 un risultato medio non negativo accantona, in misura proporzionale alla quota di partecipazione, una somma pari al 25 per cento per il 2015, al 50 per cento per il 2016 e al 75 per cento per il 2017 del risultato negativo conseguito nell’esercizio precedente.

(2) comma 557. Le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle aziende speciali, alle istituzioni e alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Si applicano, altresì, le disposizioni che stabiliscono, a carico delle rispettive pubbliche amministrazioni locali, obblighi di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze, attraverso misure diestensione al personale dei soggetti medesimi della vigente normativa in materia di vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria. A tal fine, su atto di indirizzo dell’ente controllante, nella contrattazione di secondo livello è stabilita la concreta applicazione dei citati vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria, fermo restando il contratto nazionale di lavoro vigente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 76, comma 7, del presente decreto, le società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica sono escluse dall’applicazione diretta dei vincoli previsti dal presente articolo. Per queste società, l’ente locale controllante, nell’esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo, stabilisce modalità e applicazione dei citati vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive, che verranno adottate con propri provvedimenti.

Fermo restando quanto previsto dall’articolo 76, comma 7, del presente decreto, gli enti locali di riferimento possono escludere, con propria motivata deliberazione, dal regime limitativo le assunzioni di personale per le singole aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l’infanzia, culturali e alla persona (ex IPAB) e le farmacie, fermo restando l’obbligo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di risparmio e di contenimento della spesa di personale.

Fonte: Leggioggi.it

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