di Gianni Trovati (28/05/2024)
Conti pubblici. Nel Mezzogiorno vincolato il 40% dei fondi del Piano mentre la spesa corrente è inferiore Tra le più punite anche Bologna, Firenze, Taranto ed enti a guida FdI (Ascoli e Cagliari) e Lega (Novara)
Come accade ormai inevitabilmente quando un tema corre al centro del dibattito politico, la battaglia delle parole tende a oscurare le questioni di merito. Questa dinamica, intensificata dalla vigilia elettorale, ha investito in pieno la spending review di Comuni, Città e Province, misurata anche in proporzione alle risorse del Pnrr, come anticipato sul Sole 24 Ore di sabato scorso.
Nel tentativo di spegnere il fuoco ieri è intervenuto il vicepremier Matteo Salvini: «Si troverà una soluzione – ha detto il ministro delle Infrastrutture -, non ci saranno tagli». Ipotesi ambiziosa, quella prospettata dal leader della Lega per evitare un altro cortocircuito sulla corsa verso le urne dopo redditometro, Superbonus e Sugar Tax, perché questa spending è prevista dalla manovra, attuata dalla bozza di Dm scritta al Mef guidato dal numero due del Carroccio Giancarlo Giorgetti.
Pur non avendo partecipato alla fase di costruzione del meccanismo congegnato al Mef, è diversa la linea seguita dal ministro per il Pnrr Raffaele Fitto che respinge la «polemica surreale» su «presunti tagli alla spesa sociale a partire dagli investimenti» che invece sarebbero «esclusi dalla norma» (si veda l’articolo sotto). Ma più che alle obiezioni dei Comuni il titolare del Pnrr ha scelto, fin dalla sua partecipazione domenica al Festival dell’Economia di Trento, di ribattere all’opposizione, partita all’attacco nel fine settimana con la segretaria del Pd Elly Schlein che ha accusato la premier Meloni di essere «la regina dell’austerità».
Il quadro è complesso. Ma, come sempre, i numeri possono aiutare a fare chiarezza; non prima di aver dato un’occhiata alle regole reali in discussione.
La spending 2024-28
Tutto nasce dalla bozza di decreto attuativo preparata dal ministero dell’Economia per distribuire fra gli enti i tagli di spesa decisi dall’ultima legge di bilancio dopo sette anni di tregua per i bilanci locali. Il conto, che vale quest’anno 200 milioni per i Comuni e 50 per Province e Città ma cumula 1,25 miliardi (un miliardo per i Comuni) da qui al 2028, insomma non è nuovo; ed era già stato in autunno al centro di uno scontro con i sindaci che aveva portato ad alleggerire un po’ le cifre iniziali grazie al recupero, in più anni, di una quota di Covid rimasta inutilizzata dalle amministrazioni locali.
Il legame con il Pnrr
La novità che ha infiammato la scena è il collegamento fra i tagli e il Pnrr. Sul punto la norma, scritta al comma 533 della legge di bilancio per quest’anno(legge 213 del 2023), chiede di distribuire i tagli «in proporzione agli impegni di spesa corrente» indicati nei bilanci di ogni ente, ma «tenuto conto delle risorse del Pnrr» assegnate a ciascuna amministrazione alla fine dello scorso anno. Quel «tenuto conto» si è tradotto nella bozza di decreto in una divisione a metà dei tagli: il 50% distribuito seguendo la spesa, l’altro 50% in proporzione ai fondi Pnrr. Le uscite relative a «diritti sociali, politiche sociali e famiglia», è sempre il comma 533 a precisarlo, sono escluse dalla base di calcolo che guida la distribuzione del primo 50% della spending, ma non dai tagli. «Con i fondi del Pnrr saranno realizzate opere pubbliche che necessitano di maggiori servizi e risorse quindi il danno è doppio», è tornato ad attaccare ieri il presidente dell’Anci Antonio Decaro.
I numeri
L’incrocio delle due lame rappresentate da spesa corrente e fondi Pnrr nelle forbici della spending traccia una geografia articolata negli effetti sui conti dei 6.838 Comuni interessati, quasi il 90% del totale. Ma qualche criterio guida non è difficile da individuare.
Prima di tutto, il peso rilevante attribuito alle risorse del Piano colpisce ovviamente gli enti che sono stati più attivi nella presentazione dei progetti. E spiega per esempio i picchi di Bologna e Firenze dove il decreto prospetta secondo le prime stime una riduzione di risorse fra i 50 e i 60 euro ad abitante in cinque anni. Su livelli simili viaggia Padova, mentre al Sud primeggia Taranto con un colpo poco sotto i 50 euro pro capite.
Com’è naturale, la matematica si disinteressa dei colori politici e colloca fra le città maggiormente investite sia quelle guidate dal centrosinistra come Bergamo, Varese o Pesaro sia quelle della Lega come Novara o a guida FdI come Ascoli Piceno e Cagliari; non proprio il viatico migliore per il tratto finale della campagna elettorale che oltre all’Europa coinvolge 3.715 Comuni, quasi un municipio italiano su due.
Ma più generale la correlazione con le assegnazioni del Piano tende a colpire con maggiore intensità gli enti più piccoli e il Mezzogiorno; cioè quelli dove i livelli di spesa corrente sono mediamente più bassi, e di conseguenza il peso delle risorse Pnrr è proporzionalmente maggiore in una dinamica spinta al Sud anche dal vincolo territoriale che impone di indirizzare lì il 40% degli euro finanziati dal Next Generation Eu.
In questo modo, insomma, la spending finisce per tagliare di più dove si spende mediamente meno.
* In collaborazione con Mimesi s.r.l. – Articolo integrale pubblicato su Ilsole24ore del 28 maggio 2024
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