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Il "whistleblowing", strumento di partecipazione civica (Parte 4)

Con comunicato del 01/06/2015 la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate rende noto che:

Il piano nazionale anticorruzione approfondisce i tre aspetti di interesse rinvenibili nel corpo dell’articolo 54-bis del Dlgs 165/2001: la tutela dell’anonimato, il divieto di discriminazione nei confronti del whistleblower, la sottrazione della denuncia al diritto di accesso, fatta esclusione delle ipotesi eccezionali descritte nel comma 2 in caso di necessità di disvelare l’identità del denunciante.

La tutela dell’anonimato

La disposizione riguarda formalmente il procedimento disciplinare; tuttavia, tenuto conto che la finalità è di evitare che il dipendente pubblico si astenga dall’effettuare segnalazioni di illecito per il timore di subire negative conseguenze, è ovvio che l’identità del segnalante dovrà essere salvaguardata in qualsivoglia contesto successivo alla segnalazione, nel rispetto del principio generale secondo cui la sua identità deve essere protetta e tutelata in ogni ambito e fase della procedura.

Con specifico riguardo al procedimento disciplinare, l’identità del segnalante può essere rivelata all’autorità disciplinare e all’incolpato nei seguenti casi:

 

Le disposizioni a tutela dell’anonimato e di esclusione dell’accesso documentale (vedi oltre) non possono comunque essere riferibili a casi in cui, in seguito a disposizioni di legge speciale, l’anonimato non può essere opposto (ad esempio: indagini penali, tributarie o amministrative; ispezioni).

Significativo è ancora un orientamento Anac: l’anonimato del dipendente che ha segnalato condotte illecite deve essere tutelato anche nei confronti dell’organo di vertice dell’amministrazione, salvo il caso in cui il segnalante presti il proprio consenso o nel caso in cui, nell’ambito del procedimento disciplinare avviato nei confronti del segnalato, la contestazione dell’addebito sia fondata in tutto o in parte sulla segnalazione medesima e la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato.

Il divieto di discriminazione nei confronti del whistleblower

Sono considerate misure discriminatorie le azioni disciplinari non giustificate, le molestie sul luogo di lavoro e ogni altra forma di ritorsione che porti a condizioni di lavoro non tollerabili, anche attuata tramite misure di tipo organizzativo (ad esempio, mobilità ingiustificata). La tutela prevista dalla norma è limitata all’ambito delle pubbliche amministrazioni; infatti, nella costruzione dell’articolo 54-bis, segnalante e denunciato sono entrambi pubblici dipendenti. La norma riguarda le segnalazioni effettuate all’Autorità giudiziaria, alla Corte dei conti, al proprio superiore gerarchico e anche all’Anac.

Il dipendente che ritenga di aver subito una discriminazione per il fatto di aver effettuato una segnalazione di illecito:

  1. un provvedimento giudiziale d’urgenza finalizzato alla cessazione della misura discriminatoria e/o al ripristino immediato della situazione precedente
  2. l’annullamento davanti al Tar dell’eventuale provvedimento amministrativo illegittimo e/o, se del caso, la sua disapplicazione da parte del Tribunale del lavoro e la condanna nel merito per le controversie in cui è parte il personale contrattualizzato
  3. il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente alla discriminazione.

La sottrazione della denuncia al diritto di accesso

Il documento non può essere oggetto di visione né di estrazione di copia da parte di richiedenti, ricadendo nell’ambito delle ipotesi di esclusione di cui all’articolo 24, comma 1, lettera a), della legge 241/1990. In caso di regolamentazione autonoma da parte dell’ente della disciplina dell’accesso documentale, in assenza di integrazione espressa del regolamento, quest’ultimo deve intendersi eterointegrato dalla disposizione contenuta nella legge 190 (l’eterointegrazione è il rinvenimento nelle norme o nei principi di altri ordinamenti della disciplina della fattispecie non regolata).

Nel Piano triennale dell’Agenzia delle Entrate è prevista, al fine di consentire la massima riservatezza alle segnalazioni dei dipendenti, l’istituzione di apposite caselle funzionali dedicate all’anticorruzione e al responsabile della prevenzione della corruzione. Sempre a tal proposito, il codice di comportamento del personale dell’Agenzia delle entrate, bozza di consultazione nella versione del 9 aprile 2015, prevede che il dipendente, in materia di segnalazioni interne di condotte illecite (whistleblowing), si attenga alla normativa in materia e alle indicazioni operative emanate dall’Agenzia stessa.

Ancora, il Piano triennale rammenta che, ai sensi dell’articolo 13, comma 8, del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, nel caso in cui il dirigente riceva segnalazione di un illecito da parte di un dipendente, adotta ogni cautela di legge, anche con riferimento all’eventuale istanza di accesso agli atti del denunciato, affinché sia tutelato il segnalante e non sia indebitamente rilevata la sua identità nel procedimento disciplinare. La disposizione è ovviamente confermata nella citata bozza di consultazione di codice di comportamento dell’Agenzia.

Conclusioni

La legge 190/2012 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”) rappresenta in Italia la prima norma espressamente volta a disciplinare il whistleblowing nel pubblico impiego.

La scelta del legislatore è stata quella di inserire l’istituto al Titolo IV, sui rapporti di lavoro, all’interno del Dlgs 165/2001, che disciplina le attività lavorative dei dipendenti della Pa e, quindi, nell’ambito della normativa giuslavorista del settore del pubblico impiego.

Tuttavia, l’emanazione nell’ambito della normativa anticorruzione ne evidenzia la reale finalità, che è quella di incoraggiare opportunamente l’emersione, dall’interno delle pubbliche realtà, di fatti illeciti, sviluppando il contrasto alla corruzione attraverso la tutela del dipendente, offrendogli un ventaglio di destinatari della propria segnalazione, anche alla luce degli orientamenti Anac e delle intervenute modifiche legislative.

Uno strumento utile, certamente in grado di rimuovere l’atteggiamento di prevenzione nei confronti di chi segnala, non elemento negativo all’interno dell’organizzazione, bensì indispensabile collaboratore per la tutela dell’integrità dell’Istituzione.

Giova al proposito ricordare le parole pronunziate qualche mese fa a L’Aquila dal direttore dell’Agenzia, alla tavola rotonda “Noi contro la corruzione”: “L’Agenzia è un corpo sano, che ha imparato a sviluppare dei forti anticorpi” per contrastare ogni situazione di ambiguità. E ancora: “L’Amministrazione finanziaria si è dotata di un piano triennale che sistematizza le misure di prevenzione del fenomeno corruttivo e sensibilizza continuamente il personale sui principi dell’etica e della trasparenza. Questo per evitare che poche mele marce danneggino decine di migliaia di persone oneste che lavorano ogni giorno in Agenzia delle Entrate con responsabilità e senso di appartenenza. Dobbiamo essere noi per primi a tenere pulita la nostra casa, intercettando e punendo i comportamenti scorretti che rischiano di diventare una zavorra per i funzionari leali e appassionati al loro lavoro”.

 


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